Abbiamo incontrato il valente soprano alla vigilia dell’ultima replica dell’opera, in programma per questa sera al teatro Verdi.“L’ Italia ha degradato l’insegnamento della musica a materia di ricreazione”
Di Lucia D’Agostino
Ultima replica questa sera, alle ore 18,30, al Teatro Verdi di Salerno, per la “Madama Butterfly” diretta da Alberto Veronesi e per la regia di Lorenzo Amato. L’opera ha visto nell’allestimento al massimo salernitano una traduzione più sobria ed essenziale, meno asservita e centrata sui clichè legati all’ambientazione orientale, una interpretazione, questa, in genere più convenzionale dati i riferimenti rituali ad una cultura “esotica”, per quei tempi, che di solito viene rappresentata enfatizzandone gli aspetti formali e di maniera. Quello che si evince dalle scelte registiche di Lorenzo Amato è l’aver voluto puntare l’attenzione sulle emozioni intense e sui personaggi che le rappresentano e le esprimono, quasi come archetipi simbolici, e che, in effetti, sono quelle che rendono quest’opera dal respiro universale e comprensibile in qualunque contesto culturale e tra le più passionali, sentimentali ed eterne. Perchè poi “Madama Butterfly” è una struggente, appassionta, triste e atterrita apologia sull’amore fedele, cieco, per certi versi ingenuo e strenuo di una giovanissima donna (Madama Butterfly, Cio-Cio-San, soprano interpretato da Amarilli Nizza), il cui sentimento assoluto e incondizionato la porterà inevitabilmente all’epilogo tragico della morte, incapace com’è di accettare una realtà che alla fine le si presenta davanti, immancabilmente, in tutta la sua crudezza e implacabilità. Amore totale e viscerale, contro ogni convenzione e ragionevolezza, com’è l’amore, poi, quando è vero, per un tenente della Marina degli Stati Uniti (F.B. Pinkerton, tenore incarnato da Piero Giuliacci) che, ingannando la bellissima giapponese, “gioca” con la sua fedeltà integrale e solo quando è troppo tardi si pentirà della sua viltà. Bene, tutto questo, gli attori principali, le loro personalità complesse e il modo in cui vengono fatte vivere, diventa il sulcro centrale delle decisioni che Amato prende per fare “proprio” il dramma pucciniano: di qui il passo perchè le scene e i costumi (di Alfredo Troisi) non ingombrino, non occupino troppo la scena, non sostuiscano con ridondanza e barocchismi lo svolgersi degli eventi e lo sviluppo psicologico dei personaggi, è breve. Forse l’azione risulta un pò troppo lenta, spalmata com’è in tre ore di rappresentazione, così come la trovata coreografica di due ballerini che danzano nel terzo atto, a simboleggiare il nuovo matrimonio di Pinkerton con una giovane americana, non sembra proprio una soluzione ben riuscita. A svettare su tutto rimane, in ogni caso, la prova ampiamente superata della Madama Butterfly di Amarilli Nizza che, certo, non fa mancare intensità struggente, quasi completa identificazione drammatica, ad un profilo di donna che, si evince, deve amare molto. Così abbiamo cercato di capire se ciò è vero incontrandola in camerino alla fine dello spettacolo.
Ogni regia ha una sua impronta e dà, per quanto fedele al libretto, una sua impronta specifica alla definizione dei personaggi. Come è stato interpretare la Madama Butterfly di Lorenzo Amato?
«Questa regia si distingue per l’essenzialità attribuita al nodo psicologico della trama. Senza “giapponeserie”, tutto è incentrato sulla recitazione e per me, che in genere entro dentro ogni personaggio che interpreto, è stato fondamentale. Io giovanissima ho iniziato a interpretare Madama Butterfly, ormai sono venti anni che la rappresento e devo dire che ormai si è evoluta con me per mia maturità artistica, vocale e anche personale, dato che nel frattempo sono divenuta madre, e questo certamente ha influito nella mia interpretazione».
L’opera, soprattutto quando è molto amata, suscita in chi la ascolta emozioni molto intense, una partecipazione empatica forte, lo stesso può dirsi per gli attori, o almeno per lei, anche se riveste lo stesso ruolo per tanti anni?
«Guardi io ho portato ovunque in giro per il mondo “Madama Butterfly”, a Londra, a Barcellona, in tutta Italia, e dappertutto la storia triste e intensa di questa donna che ama senza riserve ha conquistato unanimamente e acriticamente un pubblico rapito dalla sua storia. Quanto a me devo ammettere senza “vergogna” che tutto le volte rivivo il dramma in maniera talmente coivolgente e personale da piangere in scena, e, mi creda, non è facile piangere e cantare contemporaneamente. La fatica che faccio nel vivere e interpretare emozioni così intense è uno sforzo che mi toglie le forze. Poi, certamente, il risultato è gratificante e devo dire che questa volta la regia essenziale ha consentito ai personaggi di essere completamente padroni della parte. Certo con il tempo anche io mi sono abituata a rappresentare con esperianza un personaggio, ma, alla fine, per me non c’è distacco tra me stessa e il personaggio che interpreto in quel momento. Io sono lì come Madama Butterrfly, con tutta la sua tragedia, non soffoco le lacrime, piango realmente nonostante reciti la stessa donna da venti anni».
Cosa rappresenta ancora oggi nel mondo l’opera?
«L’Italia “patria” dell’opera è, in genere più critica. Nel mondo è considerata veicolo e celebrazione di valori eterni. Soprattutto nei Paesi emergenti come Cina, Brasile, si sono impossessati dell’opera nel senso che se ne servono per innalzare, culturalmente e umanamente, i popoli, proprio perchè li connette intimamente con la propria anima toccando corde altissime, tanto è vero che si commuovono e piangono senza, a volte, capire il testo e il senso delle parole. L’opera è un valore artistico da proteggere, mentre in Italia è considerata una cosa di élite o per persone anziane; negli altri Paesi ho visto giovanissimi, magari vestiti da punk, entusiasmarsi per l’opera senza rinuncire ad altri divertimenti più “contemporanei”, anzi, facendoli convivere naturalmente. In Italia è anche colpa di un sistema scolastico che ha degradato l’insegnamento della musica a materia di ricreazione, laddove in Germania, ad esempio, lo studio della musica avviene fin dalla più tenera età. Purtroppo sono sempre meno anche gli italiani che vi si dedicano professionalmente: sono sempre più pochi i tenori e soprano italiani, stanno sparendo e anche se vengono sostuiti da professionisti stranieri molto bravi, il modo di sentire culturalmente l’opera e lo scavo nella parola che gli italiani si portano dietro geneticamente li rende quasi insostituibili».
Quali sono i suoi progetti futuri?
«Ne ho molti, con impegni per i prossimi tre anni: a Lipsia prossimamente con una produzione di “Mcbeth”, poi a febbraio “Nabucco” e “Attila” a Verona, sarò, inoltre, alla Fenice di Venezia e a Barcellona e questa estate per “Nabucco” e “Aida” all’Arena Verona. Questi solo alcuni appuntamenti per un programma ininterrotto in giro per il mondo dalla Cina alla Spagna».